OTTO MARZO DI LOTTA

Come l’anno scorso anche questo otto marzo ha visto manifestazioni e scioperi in tutto il mondo promossi dal movimento Nonunadimeno. Come giornale e come Federazione Anarchica Italiana abbiamo sostenuto attivamente la giornata. Di seguito i report da alcune città.
La redazione web di Umanità Nova
 
Livorno e Pisa
La giornata di sciopero sociale ci ha visto presenti a Livorno dalle 11.00 nella centrale Piazza Grande . Il presidio, assai partecipato, è stato caratterizzato da diverse attività, proponendosi come momento di incontro e confronto con la cittadinanza. Si sono lette parti del Piano, sintetizzate in qualche frase per ribadire l’approccio intersezionale e dal basso del lavoro del movimento, è stato diffuso vario materiale e si sono succeduti interventi in un flusso che ha dato contenuti costanti alla presenza. Dallo sfruttamento economico, alla persistente disparità salariale (in GB citata la vertenza Tesco per esempio), alle questioni legate alla migrazione di tutte le soggettività , al superamento del binarismo maschio femmina, alla questione pedagogica, all’antimilitarismo, ed altri temi. Uno dei tabelloni che abbiamo allestito ha voluto invitare ad una riflessione sulla relazione tra militarismo e violenza sulle donne; nello specifico, prendendo spunto da una statistica pubblicata da Repubblica che vede negli appartenenti alle diverse Forze dell’ordine i protagonisti di 3 femminicidi su 4. Il materiale informativo è stato causa e opportunità anche di un confronto diretto con alcune vigilesse in servizio intorno al presidio, e speriamo che nella riflessione a posteriori la statistica e la critica alle ragioni del militarismo intacchi qualche certezza securitaria . Gli interventi diversi, la partecipazione, le persone che hanno preso il Piano e con cui siamo entrate in contatto hanno arricchito il valore della presenza in piazza, e, in prospettiva, del lavoro che ci aspetta.
Nel pomeriggio la mobilitazione è proseguita con la partecipazione alla manifestazione di Pisa, dove i vari collettivi femministi esistenti nella città hanno dato vita ad un’ iniziativa assai vivace a cui ha partecipato un migliaio di persone. A Pisa, dopo le iniziative mattutine svoltesi in vari punti cittadini significativi, nel pomeriggio il concentramento del corteo è stato pensato come un grande presidio tematico, con esposizione di materiale vario e presenze caratterizzanti. Il corteo vero e proprio si è snodato per le strade del centro ed è approdato in Piazza dei Cavalieri, dove uno striscione è stato appeso alle scalinata della Scuola Normale Superiore e la manifestazione si è conclusa.
Nadia Nudm Livorno
Milano
Due cortei a Milano promossi da Nudm per l’8 marzo. La mattina quello indetto dal Coordinamento dei comitati studenteschi che oltre al mondo della scuola ha raccolto anche la partecipazione delle lavoratrici in sciopero: presenti quelle di Condè Nast, giornaliste messe in cassa integrazione nello stesso giorno e lo spezzone dell’USI. Un corteo molto vivace e partecipato che, partito da Largo Cairoli ha raggiunto la Clinica Mangiagalli, contro i medici obiettori.
Alla conclusione del corteo pranzo in piazza, organizzato dal Collettivo Femminista Gramigna e raccolta di fondi per una cassa di mutuo soccorso che servirà a rendere possibile lo sciopero delle lavoratrici del Grand Hotel et De Milan.
Alle 18 del pomeriggio si è tenuta la manifestazione indetta da ‘Non una di meno’, che si è snodata per le vie contigue del centro città dalla Stazione Centrale a piazza Missori. Un lungo corteo di decine di migliaia di manifestanti aperto da un autotreno ricco di slogan, striscioni, cartelli. Presente uno spezzone rossonero che inalberava lo striscione a firma FAI, ‘Pane, Amore e Fantasia – Libertà Autonomia – da Chiese, Stati e Padroni’.
Numerosi i punti simbolici toccati – e sanzionati – dal corteo: il Consiglio Regionale, sede del potere politico locale; l’Ordine dei Giornalisti, contro le manipolazioni dei media; l’Ispettorato del Lavoro, Mainpower e Confindustria contro la violenza economica; la Prefettura, rappresentante del potere dello Stato; l’Arcivescovado, contro il potere religioso; l’INPS contro le politiche previdenziali.
La giornata dell’8 marzo, a Milano, ha evidenziato il contenuto di rivendicazione economica e valoriale dello sciopero proclamato per esigere la fine della violenza, delle diseguaglianze e discriminazioni di genere, del divario salariale, della precarietà. Inoltre, cogliendo l’occasione del 50° del movimento del 1968, ha anche voluto riappropriarsi con orgoglio della storia e dell’immaginario legato alle ‘streghe’.
L’incaricat*
Reggio Emilia
Riuscito lo sciopero generale dell’8 marzo, alla manifestazione organizzata a Reggio Emilia sono intervenuti una trentina di compagni e compagne che hanno animato il presidio con volantinaggi e bandiere. Una presenza ben visibile con un ottimo lavoro di propaganda che ha saputo ricordare, ancora una volta, l’importanza di mettere all’ordine del giorno delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici, degli studenti e delle studentesse, l’antisessimo, l’opposizione alla violenza di genere in tutte le sue forme per l’emancipazione completa di tutte e di tutti. Abbiamo di nuovo ricordato come lo sciopero debba essere l’elemento centrale di questa giornata, essendo una tematica così significativa dal punto di vista sociale, cercando di andare al di là delle azioni simboliche per riuscire ad incidere realmente contro la cultura patriarcale capitalista e statalista. La giornata è poi proseguita con momenti conviviali e di propaganda sino alla partecipazione del corteo delle 18 organizzato da Non Una di Meno di Reggio Emilia.
SE TOCCANO UNA TOCCANO TUTT*!
Usi – Ait – Reggio Emilia
Roma
Lo sciopero globale delle donne, indetto per l’8 marzo dello scorso anno, aveva mobilitato in tutto il mondo centinaia di migliaia di donne contro la violenza sessuale e l’oppressione patriarcale portando la lotta sul posto di lavoro e nella società tutta, utilizzando lo sciopero come rifiuto allo stato di cose presenti,stabilendo le connessioni tra i diversi soggetti e i campi di lotta. Per l’8 marzo 2018 era arrivato un nuovo appello affinchè lo sciopero globale non venisse trasformato in un rituale ricorrente ma fosse utilizzato come strumento per un persistere condiviso di lotta e dunque parte di un processo in divenire e non semplicemente un evento fine a se stesso. Ni una menos in Argentina ha affermato che ” il tempo da una data all’altra non è vuoto”. Ni una menos è uno slogan di protesta contro il femminicidio lanciato in Argentina nel mese di gennaio 2015. Il 12 maggio del 2015 in seguito al ritrovamento del corpo di Chiara Paez un’adolescente di 14 anni uccisa dal fidanzato, il movimento di liberazione della donna in Argentina composto da gruppi, collettivi, dalle reti sociali a livello locale, sindacati avevano dato vita ad una marcia di 300mila persone a Buenos aires contro la violenza sulle donne. Le manifestazioni di protesta sono continuate fino al mese di ottobre. Nel giugno 2016 in seguito ad un altro efferrato episodio di stupro, tortura e femminicidio di Lucia Perez, 16 anni, veniva convocata una marcia e indetto uno sciopero. Lo sciopero, indetto in questo modo, era stato utilizzato a New York nel 1970 dal Women’s Liberation Movement e poi assunto negli anni in altri paesi fino ad arrivare ,negli ultimi anni, in Polonia ed Argentina. All’appello delle donne argentine del 2015 si sono aggiunte le marce di Uruguay, Messico, Cile, Perù e la rabbia contro il patriarcato è andata crescendo e dalla Spagna all’Italia,dalla Svezia al Regno Unito, dagli Stati Uniti all’India ed oltre è aumentata la consapevolezza delle donne di essere parte di un processo globale di rivolta che non sta ignorando il persistere delle differenze locali e regionali. Lo sciopero globale delle donne si sta rivelando una minaccia per il “femminismo istituzionale” che non è in grado di vedere il carattere globale e sistemico dell’oppressione. La manifestazione dell’8 marzo a Roma è stata indetta dal collettivo Non Una di Meno, nato in Italia alla fine del 2016, ed è partita intorno alle 17:30 da piazza Vittorio per finire in piazza Madonna di Loreto. Vi hanno partecipato gruppi, associazioni, collettivi del movimento di liberazione, pochi gli striscioni presenti e sono quasi del tutto scomparsi i ramoscelli di mimosa per anni il simbolo del rituale della “festa dell’8 marzo”. Oltre ventimila manifestanti hanno occupato tutta la strada fino ai marciapiedi ed apriva il corteo un camion da cui partivano gli interventi dal microfono. Molte le giovani presenti alla manifestazione e già durante la mattinata, nonostante la mancanza dei trasporti pubblici, il cui personale aveva aderito allo sciopero, si erano tenuti un corteo all’Università La Sapienza ed uno speakeraggio sotto il Ministero del Lavoro in via Veneto. Lungo via Cavour sono stati calati gli striscioni Defend Afrin e Women Rise Up in solidarietà al Movimento delle Donne Libere e alla rivoluzione delle donne curde presenti alla manifestazione con una delegazione. Le donne stanno entrando sempre di più nel campo della lotta non solo come vittime del lutto o semplicemente come soggetti in attesa di essere riconosciuti e compensati ma come soggetti politici che vanno autodeterminando ed autorganizzando la propria lotta dal basso contro la violenza patriarcale,l’oppressione e lo sfruttamento neoliberale. L’ incaricata per il Gruppo Anarchico C.Cafiero FAI Roma
Trieste
Una bella giornata di sole dopo tanti giorni di pioggia e vento ha salutato questo otto marzo a Trieste. Come l’anno scorso Nonunadimeno è scesa in piazza con un corteo che ha attraversato in modo gioioso e determinato il centro cittadino. Buona la partecipazione con oltre 500 persone di tutte le età. Numeri che, sebbene inferiori allo scorso anno, costituiscono una buona base per continuare il percorso cittadino che va avanti in modo continuativo da un anno. Del resto, rispetto all’anno scorso, l’attenzione dei media -sia locali che nazionali- è stata scarsissima (in particolare il quotidiano locale non ha dedicato una riga alla manifestazione nei giorni precedenti e si è limitato a due righe con foto il giorno seguente) e ciò ha sicuramente influito.
Tornando alla giornata dell’8 marzo la manifestazione è stata molto colorata con numerosi cartelli -fra cui le ormai immancabili matrioske-, striscioni e fumogeni viola. Dopo lo spezzone iniziale di Nudm sfilavano la rete dei Centri Antiviolenza, i Cobas e l’Usi-Ait e in fondo il coordinamento donne della Cgil.
Tante le tappe con interventi al microfono durante il percorso per rinominare con dei cartelli vie e piazze della città: “via delle combattenti curde”, “via delle nonne partigiane”, “via Virgilia D’Andrea” (antimilitarista anarchica), “via comandante Ramona”, “via Alina Bonar Diaciuk” (donna ucraina suicidatasi durante un fermo illegale in attesa di espulsione) e tante altre. Massiccio il volantinaggio ai lati del corteo e il tappezzamento di pali e cabine con gli adesivi di Nudm.
Sotto la sede della Lega vi è stata anche un’azione simbolica con l’affissione sul muro sotto le finestre del partito di salvini di un manifesto che intitolava la via a Rosa Parks.
Presenti compagni e compagne anarchiche da Trieste, Isontino, Friuli e Pordenone: banchetto, volantinaggi, diffusione di Umanità Nova, matrioske rossonere e bandiere hanno caratterizzato la nostra attiva presenza.
Dopo questa bella giornata sarà importante continuare il percorso di Nudm affinchè ci sia un sempre maggior radicamento e si riesca a passare dalla denuncia e presenza in piazza ad un azione sociale quotidiana transfemminista e radicale. La scommessa è aperta.
Un compagno

Torino
Un alito di primavera ha accompagnato un lungo 8 marzo di lotta all’ombra della Mole.
In piazza Castello  sin dal mattino è un fiorire di matrioske, cartelli, colori e suoni. In testa lo striscione “Scioperiamo dal lavoro di cura. Lottiamo insieme!”
Lo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si è articolato come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.
La rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente alla erosione del welfare.
La riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.
Lo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.
La prima tappa è al centro della piazza. Lunghi fili vengono tirati tra i pali: con pinze da bucato sono stesi pannolini, grembiuli, strofinacci… Tutti oggetti simbolo del lavoro di cura.
Un camioncino  prova senza successo a forzare il blocco, che si allarga sulla piazza.  Un nucleo dell’antisommossa, schierato a pochi passi da una carrozzina con un neonat*, chiede a gran voce rinforzi. La digos si affanna al cellulare.  Si parte in corteo verso via Po. Per l’intera mattinata si svolgono blocchi con slogan e comizi volanti  ai principali incroci.
In corso Regina il corteo viene raggiunto dalle studentesse, che in mattinata avevano bloccato le lezioni al campus. La mattinata si conclude a Palazzo Nuovo, l’altra sede delle facoltà umanistiche.
Nel pomeriggio piazza XVIII dicembre, la piazza che ricorda i martiri della camera del lavoro, si riempie velocemente. Parrucche rosa, fucsia e viola sul nero degli abiti, tanti striscioni, tulle, cartelli. Il corteo si dipana per il centro. Saremo tremila, forse più.
La prima sosta è davanti alla caserma dei carabinieri Cernaia. Viene appeso uno striscione contro la violenza dei tribunali, in solidarietà alle donne stuprate, picchiate e offese che nelle aule di giustizia diventano imputate, chiamate a rispondere della propria vita, dei propri abiti, dei propri gusti, del proprio no alla violenza. Vengono lette alcune delle domande  fatte in tribunale  alle due studentesse statunitensi stuprate da due carabinieri la scorsa estate a Firenze. Domande di una violenza terribile.
In Italia viene ammazzata una donna ogni due giorni.
Spesso gli assassini usano le pistole d’ordinanza, che hanno il diritto di portare perché fanno parte dell’elite poliziesca e militare, che detiene per conto dello Stato il monopolio legale della violenza.
Gli spazi di autonomia che le donne si sono conquistate hanno incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l’ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà femminile è ancora molto lunga. Il crescere della marea femminista è la risposta ad una violenza che ha i caratteri espliciti di una guerra planetaria alla libertà delle donne, alla libertà dei generi, alla libertà dai generi.
Nelle aule dei tribunali la violenza maschile viene declinata come affare privato, personale, accidentale, nascondendone il carattere disciplinare, punitivo, politico.
Le lotte femministe ne fanno riemergere l’intrinseca politicità affinché divenga parte del discorso pubblico, in tutta la propria deflagrante potenza, mettendo in soffitta  il paternalismo ipocrita  delle quote rosa, delle pari opportunità, dei parcheggi riservati alle donne.
Tra i temi di questo 8 marzo di sciopero e lotta, la ferma volontà di rompere il silenzio e l’indifferenza, per sostenere un percorso di libertà, mutuo aiuto e autodifesa contro chi ci vorrebbe inchiodare nel ruolo di vittime.
Forte è il rifiuto che la difesa delle donne diventi l’alibi per politiche securitarie, che usino i nostri corpi per giustificare strette disciplinari sull’intera società.
“Nello stato fiducia non ne abbiamo, la difesa ce la autogestiamo!”
“Lo stupratore non è malato, è il figlio prediletto del patriarcato”
“Siamo la voce potente e feroce di tutte le donne che più non hanno voce!” Questi slogan riempiono  la piazza, deflagrano  per il corteo.
Tra i tanti interventi quello di una ragazza curda, che ricorda la lotta delle donne di Afrin contro l’invasione turca e il patriarcato. Una studentessa sviluppa una critica alla scuola, dove lo sguardo femminista è quasi sempre assente.
In piazza Castello su uno dei tanti monumenti militaristi della città, quello dedicato al duca d’Aosta, in braccio ad uno dei soldati raffigurati viene messa una scopa, uno strofinaccio, un pezzo di tulle rosa.
L’azione è accompagnata da un lungo intervento dal camion.
É il momento per parlare delle donne stuprate in guerra, prede e strumento del conflitto.  In guerra  la logica patriarcale sottesa a torture e stupri è meno dissimulata  che in tempi di pace.
Dahira nel 1993 aveva 23 anni. Dahira già conosceva il sapore amaro dell’essere donna in una società patriarcale. Era stata ripudiata dal marito, perché non riusciva a dargli dei figli. Una cosa inutile, priva di valore. Ma per lei il peggio doveva ancora venire. In una notte di maggio di 25 anni fa venne spogliata, legata sul cassone di un camion con le braccia e le gambe immobilizzate e stuprata con un razzo illuminante. I torturatori e violentatori erano paracadutisti della Folgore, in missione umanitaria in Somalia. Con cruda ironia la missione Nato, cui l’Italia partecipò si chiamava “Restore hope – restituire la speranza”.
Gli stessi parà stanno per sbarcare in Niger per una nuova missione. Questa volta l’obiettivo sono i migranti in viaggio verso l’Europa.
Altri militari saranno in Libia, dove le milizie di Sabratha e Zawija, pagate dallo Stato italiano rinchiudono uomini, donne e bambini in prigioni per migranti, dove tutte le donne vengono stuprate. Gli esecutori sono in Libia, i mandanti sono sulle poltrone del governo  italiano.
Il corteo imbocca via Po e si ferma davanti alla chiesa  della SS Annunziata, legata a  Comunione e Liberazione. Lì viene appeso uno striscione con la scritta “Preti ed obiettori tremate. Le streghe son tornate!” Prezzemolo e ferri da calza sono lasciati di fronte all’ingresso, per ricordare i tempi dell’aborto clandestino, quando le donne povere abortivano con decotti e ferri da calza, rischiando di morire.
La chiesa cattolica vorrebbe che le donne che decidono di non avere figli muoiano o vengano trattate da criminali. A quarant’anni dalla legge che ha depenalizzato l’aborto, ma lo ha sottoposto ad una rigida regolamentazione, in molte città italiane abortire è diventato impossibile, perché il 100% dei medici si dichiara obiettore.
Preti ed obiettori vorrebbero inchiodarci al ruolo di madri e mogli. Quest’8 marzo ci trova più agguerrite che mai nella lotta per una maternità libera e consapevole.
Nelle piazze torinesi  si è affermato  un femminismo capace di  obiettivi  radicali  e pratiche libertarie,  vincendo  la scommessa non facile dello sciopero femminista, con la buriana elettorale appena dietro le spalle,  nel netto rifiuto di essere usate come trampolino per carriere politiche tinte di fucsia.
In quest’8 marzo è emerso l’intreccio potente tra la dominazione patriarcale e la violenza dello Stato, del  capitalismo, delle frontiere, delle religioni.
Di questi tempi non è poco. Un sasso nello stagno, che si allarga e moltiplica le pozze.
Il corteo vibra dello slogan urlato da tutte “Ma quale Stato, ma quale dio, sul mio corpo decido io!”
La marea dilaga in piazza Vittorio dove viene disegnata una matrioska gigante al cui interno vengono lasciate scope, detersivi, grembiuli e strofinacci.
Un grido potente riempie la piazza “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione!”. Ed è festa.

m. m.
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